La vita dietro l’angolo

Era di mercoledì. Un giorno qualsiasi, ma non un giorno qualunque. Il mattino si era mostrato subito limpido e l’aria frizzantina di aprile aveva ben disposto Lucia. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma nel lavarsi i denti non si guardò allo specchio. Si vestì semplicemente, pantaloni blu affusolati, maglia beige a righe blu, e giubbetto di jeans.
Aveva optato per le sneackers bianche più comode per camminare, e un piccolo zainetto di pelle nero, e nell’insieme sembrava più giovane dei suoi 34 anni, specialmente con i capelli a coda di cavallo e senza trucco.
Prese l’autobus perché in centro era troppo complicato parcheggiare, e dopo l’appuntamento
se ne sarebbe andata a gironzolare per vetrine, come non faceva più da tempo.
Il bel palazzone in stile liberty era imponente e ben tenuto, in effetti stonavano un po’ tutte le targhe dorate o cromate dei professionisti che vi risiedevano con le loro attività. Suonò e si aspettava una qualche voce al citofono, invece con uno scatto metallico si aprì il portone.
All’interno c’era l’ascensore, alloggiato al centro come in tanti condomini d
ell’epoca, circondato dalle rampe delle lunghe scalinate, solo non c’era la struttura a griglia, era tutto d’acciaio. Anche questo stonava con il profumo antico che traspirava dalle mura. Lo prese e salì al 3° piano, come aveva letto sul campanello.
Sul pianerottolo aveva notato 4 porte, una era aperta. Si aspettava che ci fosse qualcuno a riceverla, invece entrò timidamente in piena solitudine. L’ingresso era quadrato, con da un lato un attaccapanni da parete con portaombrelli e cappelliera, tutto in ferro battuto, molto intonato, questo si, con l’ambiente. A sinistra un quadro, o meglio una stampa di Modigliani riempiva tutta la parete.
Di fronte un breve corridoio, lo percorse e poi a destra si apriva una bella stanza, ampia e dal soffitto molto alto. “Doveva essere almeno 4 metri”, pensò, esagerando forse un po’, “avevano fatto bene a non mettere i controsoffitti come in ingresso, o forse non avevano potuto”.
Infatti a sinistra una serie di finestroni alti illuminava e rendeva merito all’in
sieme anche se gli infissi in legno verniciato mostravano un po’ i segni del tempo. Al centro della parete di fronte c’era una porta. Chiusa.
Sui due lati, messe lì come per caso, stavano due file di 3 sedili attaccati, una di fronte all’altra. Non si potevano chiamare sedie, così senza gambe. Erano quelle strutture di ferro brutte e fredde da studio medico, e di quello in effetti si trattava. A dividerle un tavolino basso sopra un tappeto finto arabo.
Due donne occupavano i sedili laterali, di fronte ai finestroni, una aveva messo la borsetta sul sedile a fianco, mentre l’altra l’aveva semplicemente appoggiata per terra.
Anche Lucia si sedette su un sedile laterale, con la finestra alle spalle e proprio in quel momento la porta si aprì e una bella ragazza con camice bianco le sorrise. “E’ un po’ in anticipo, signorina, purtroppo il Dott. Licciardi è stato tra
ttenuto da un imprevisto, ma arriverà a breve”.
Sospirò, sicuramente avrebbe dovuto aspettare il suo turno dopo le altre due. Ma, come diceva sua nonna, “se non puoi cambiare la situazione, non vale la pena che t’arrabbi”, fece buon viso e si accomodò.
La stanza era davvero signorile, il pavimento di marmo a rombi beige e bordeaux la rendeva più larga di quel che era, e sulle pareti correva tutto intorno all’altezza di un metro una finitura dorata, che staccava il colore beige dipinto sotto, da quello bianco sopra.
Le altre due signore, non sembravano averla notata e del resto Lucia non aveva salutato.
Quella proprio di fronte a lei, scriveva assorta sul suo smartphone, poteva avere circa 27-30 anni, gonna lunga a fiorellini, camicia folk e gilet scamosciato, stivaletti larghi e calzettoni verdi.
L’altra, un po’ grassoccia, aveva un aspetto sciatto, scarpe pesanti, fuseaux neri e felpa marrone con la zip. Si rigirava due anelli con fare lento, melanconico, guardandosi le punte dei piedi accavallati. La radice bianca dei capelli scuri un po’ scomposti raccontava la sua età non più verde.
Mentre Lucia era assorta in queste osservazioni, il campanello suonò e di lì a poco un’altra signora entrò, assieme al suo penetrante profumo. Si tolse gli occhiali da sole e notò con disappunto che c’erano già altre 3 persone, ma non disse nulla, andò a sedersi sull’altro sedile laterale, poggiando la borsa sul sedile di mezzo.

 Era una bella borsa rigida, marrone con i profili beige, Lucia non poté fare a meno di notare il logo di Louis Vuitton. La signora, bionda, alta e molto curata, era entrata con passo flessuoso, mocassini e pantaloni grigi di flanella. Con fare discreto si era tolta il soprabito Burberry e l’aveva appoggiato sopra la borsa assieme al foulard di seta. Il portamento e lo stile la collocavano sicuramente in ambienti ricchi e raffinati.
Un unico anello con un rubino rosso scuro sull’anulare quasi a coprire la fede.
Finalmente, un po’ di corsa arrivò il Dott. Licciardi, salutò velocemente ed entrò nel suo studio. Era un un uomo brizzolato e occhialuto, con qualche chilo di troppo che il giaccone non riusciva a celare.
Poco dopo l’assistente chiamò la ragazza, che prese la borsa di stoffa colorata ed entrò.
Lucia notò che l’assistente aveva chiamato il nome e non il cognome, forse per rispetto della privacy.
A questo punto però il clima si era fatto un po’ teso, imbarazzato. Tutte evitavano di guardarsi, cercando di muoversi distrattamente su quelle orribili sedie, ognuna forse sentiva il bisogno di dire qualcosa, ma cosa? Percepivano di essere tutte lì per lo stesso motivo, se il dottore non avesse ritardato, forse non si sarebbero neppure incrociate.

 La signora elegante si alzò e andò ad osservare una stampa della città antica sulla parete di fronte, l’altra stava immersa nei suoi pensieri.
La porta si aprì e la ragazza uscì svelta ripiegando un foglietto e mettendolo nella borsa.
L’assistente fece entrare la signora in felpa e richiuse la porta.
Lucia abbozzò: “oggi si respira aria di primavera…”, “si, è vero sono venuta a piedi e si sta bene fuori” rispose la signora bionda. Lucia prosegui “io invece ho preso il 36 e spero di uscire in tempo per quello delle 11,45… che gli autobus dopo si riempiono troppo e si sta stretti”.
Si sorrisero, era passato un filo invisibile di empatia.
Anche Lucia si alzò: “è molto bella questa stampa della città antica, ci sono le botteghe che lavoravano già dai primi del ‘900…”.
La porta si riaprì, la signora con i fuseaux usci un po’ incerta, chiuse la porta, non guardò nessuna e non salutò.
Nel frattempo la signora bionda si era avvicinata ad un finestrone e sembrava che guardasse giù, ma era troppo assorta per vedere il viavai. Lucia era invece rimasta ad osservare la stampa, cercando l’insegna e il profumo di una panetteria di cui le raccontava sempre la nonna.
L’assistente la guardò e la chiamò quasi in un sussurro “signora Eleonora…”, ma lei rimase un po’ sospesa, e girandosi dal finestrone guardò Lucia seguendo un pensiero: “…ma si, vada pure lei prima di me, io non ho fretta, così potrà prendere l’autobus”.
Lucia, un po’ sorpresa, ringraziò ed entrò.

 Lo studio era ovattato, ma non come se lo sarebbe aspettato. Il tavolo del medico, in legno massiccio, era posto lateralmente, angolato rispetto alle pareti, ornate da tende chiare ma chiuse, che rendevano l’atmosfera più soft, amichevole quasi. Due belle sedie in stile, con l’imbottitura bordeaux stavano ben accoglienti davanti al tavolo.
A terra un bel tappeto colorato, dalla lavorazione indiana o thailandese. A destra, seminascosto da un paravento che sembrava in bambù, stava il lettino per le visite.
A lei, pensò, non sarebbe servito.
L’assistente aveva la scrivania lungo la parete a sinistra dell’ingresso e sedeva ordinatamente in attesa delle indicazioni del dottor Licciardi.
Lucia si sedette al tavolo e appoggiò la piccola cartella guardando il medico senza dire niente. Questi la salutò brevemente, prese la cartella, lesse l’ecografia, gli esami e poi alzò lo sguardo: “va bene, siamo in tempo, è sicura di voler interrompere la gravidanza?”
Lucia lo sapeva bene che questa domanda le sarebbe stata fatta e aveva ripassato quel momento parecchie volte. E proprio era decisa. Non che fosse stato facile decidere, né lo sarebbe stato da lì in poi. “Si, sono sicura”.
Il dottor Licciardi guardò l’assistente, che sapeva già cosa fare. Infatti le porse un modulo con le istruzioni, poi stilò un foglio che portò al medico che lo firmò.

 Poi lo mise in una busta e preparò la ricevuta che Lucia pagò in fretta, senza guardarla.
Si chiuse la porta alle spalle con un breve sospiro e gli occhi chiusi, poi riaprendoli si accorse che la bella signora bionda non c’era più.Rimase così un po’ perplessa, mentre nel frattempo usciva l’assistente che pur accorgendosi dell’assenza non fece commenti.
Lucia si chiese distrattamente come mai, ma pensò che non era affar suo e si avviò all’ascensore, uscendo poi di corsa dal portone. Forse sarebbe riuscita a prendere l’autobus.
Nell’attraversare la strada però notò il Burberry e la signora che camminava poco lontano lungo il viale alberato a passo lento. Era di schiena per cui non la vide e Lucia rimuginò un po’ incerta, avrebbe voluto avvicinarsi, fermarla, dirle… già che cosa? Ma fu lei invece a voltarsi e poi dopo averla riconosciuta le venne decisa incontro.

 Lucia le sorrise, anticipandola: “la ringrazio di avermi fatto passare prima, è stata molto gentile…” mentre stava meditando se salutare con un cenno o presentarsi…l’altra rispose “No no, sono io che ringrazio lei…vede, lei mi ha dato un altro quarto d’ora…è un tempo lunghissimo, ed io… ho potuto cambiare idea”.
Lucia aprì la bocca e restò lì, senza sapere cosa fare né tanto meno cosa dire, il tempo di un respiro e già si era voltata e, con il passo lento, il portamento elegante e flessuoso, ed il foulard al collo, aveva ripreso a camminare per il viale…

Questa voce è stata pubblicata in racconti e altro ancora, Senza categoria e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *